Lunedì, 25 Marzo, 2013 - 06:00

Sono tempi difficili per le finanze nazionali ma - ha sottolineato la commissaria Ue all'educazione Androulla Vassiliou -abbiamo bisogno di un approccio coerente per gli investimenti pubblici nell'istruzione, poiché questa è la chiave per il futuro”. Se gli stati non investono “adeguatamente”, il rischio, ha avvertito la Vassiliou, è che “ci troveremo sempre più arretrati rispetto ai nostri concorrenti globali”, con difficoltà ad affrontare la disoccupazione giovanile.

Ma tra il dire e il fare ...

 

L'Italia è tra i paesi dell'Unione Europea che, sotto la pressione della crisi, tra il 2010 e il 2012 hanno effettuato i tagli più pesanti al bilancio della scuola. Il dato emerge da uno studio realizzato a cura della Commissione Ue. A ridurre gli investimenti nell'istruzione sono stati 20 tra paesi e regioni Ue, ma a superare quota 5% sono stati solo Italia (-3,8% nel 2011 e -6,8% nel 2012), Grecia (record di -17% nel solo 2011), Portogallo, Cipro, Ungheria, Lettonia e Lituania. Tagli inferiori ma comunque significativi, dall'1% al 5%, in Irlanda, Spagna, Slovenia, Slovacchia, Polonia, Estonia, Bulgaria, Repubblica Ceca e Belgio francofono.

Ad aumentare la spesa per la scuola, invece, sono stati solo Lussemburgo, Malta, Austria, Svezia e Finlandia.

Dallo studio Ue emerge anche che gli stipendi degli insegnanti sono stati ridotti o congelati in 11 paesi tra cui l'Italia, che ha registrato un calo dei costi per le risorse umane del 5% nel 2011 e del 6% nel 2012. I tagli hanno anche causato riduzioni nel numero dei docenti in 10 stati, Italia inclusa, dove nel 2010 è calato del 6%, anche per effetto della legge 133/2008.

Drastico il taglio nelle spese per la formazione professionale degli insegnanti: in Italia è stata ridotta del 50% tra 2011-2012 anche in ragione della legislazione introdotta nel 2010. Nell'ultimo biennio, inoltre, ben due terzi dei paesi europei hanno chiuso o fuso tra loro istituti scolastici, e in Portogallo, Polonia, Slovacchia, Danimarca e Islanda il contesto economico è stato indicato come uno dei “principali fattori”, mentre in Italia come “la principale ragione”.

 

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