Gestire un’istituzione scolastica sta diventando un’operazione complessa, articolata, a volte difficile ed improba. Il dirigente opera su più fronti, innanzitutto fra l’interno e l’esterno dell’organizzazione, modulando il dialogo fra la realtà scolastica, quanto elaborato nell’offerta formativa, con i soggetti esterni, istituzionali e non, con i genitori degli alunni e con quanti a vario titolo sono portatori di interesse verso la qualità dell’istituto.
Il dirigente organizza i servizi interni, passando dalla qualità del processo di insegnamento/apprendimento, di cui risponde in termini di procedure, ottemperanza a norme, uguaglianza sociale delle opportunità fornite agli studenti, alla qualità dei servizi amministrativi, alla gestione del personale e della posizione giuridica dello stesso, ai rapporti con gli organi collegiali, in primis il consiglio di istituto.
Un dirigente a tutto tondo, verrebbe da dire; non esiste ambito lavorativo in cui un dirigente con funzioni apicali di un ente autonomo, che gestisce anche 120-150 unità di personale e si interfaccia con diverse tipologie di interlocutori, non abbia a supporto della propria azione delle unità organizzative preparate a tal scopo, selezionate e motivate. Il personale amministrativo, e per primo il Direttore dei servizi generali ed amministrativi, si è ritrovato con l’autonomia incombenze nuove senza avere formazione specifica, e, purtroppo, senza che tale formazione sia stata richiesta, così come è stato per i docenti, lasciati appiattiti in un unicum contrattuale la cui differenziazione passa solo dal riconoscimento del FIS.
I dirigenti che hanno in questi anni di fatto gestito questa complessità, l’hanno connotata anche ponendo la propria autorevolezza e la propria credibilità e passione personale; ne è prova il fatto che scuole ritenute e percepite d’eccellenza possono in poco tempo cambiare - non sempre in meglio - al solo mutare di incarico dirigenziale.
Evoluzione del ruolo
In questi anni dall’emanazione del decreto 275/99 il ruolo del dirigente è stato di fatto strategico e fondante l’identità degli istituti autonomi. Negli ultimi tempi, ed in alcuni territori in modo veramente diffuso, i dirigenti hanno governato due scuole, usando gli strumenti di delega e di organizzazione del lavoro che le scuole hanno utilizzato in questi anni, mettendo a frutto la sapiente esperienza di 10 e più anni di autonomia, ma anche imparando a ripensare, insieme ai pochi collaboratori, il proprio ruolo e a ridefinire la propria leadership.
Vi sono , in sostanza, elementi di complessità nella storia stessa delle istituzioni; cercando in rete con qualunque motore di ricerca i termini “complessità” o “organizzazione scolastica” si trovano infiniti rimandi alle teorie della complessità, delle organizzazioni, a legami più o meno deboli, ed una vasta trattazione manualistica sul ruolo del dirigente in tale complessità. Si dice che repetita iuvant, però, a volte, l’eccesso di ridondanza nell’uso di alcune espressioni e la focalizzazione intorno ad alcuni temi non consente un’argomentazione - per così dire - libera da schemi interpretativi.
La complessità della scuola
La scuola è davvero un’organizzazione complessa? E se la risposta non può che essere ovvia, dove sta questa complessità? In quali passaggi, strutture, processi risiede il cuore della complessità, quali caratteristiche assume?
Proviamo, in una sorta di reductio ad absurdum, ad argomentare il contrario, ponendo quindi che la scuola non sia complessa, ma che possa essere descritta come un sistema lineare. Per le teorie dei sistemi, un sistema è lineare quando risponde in modo direttamente proporzionale alle sollecitazioni ricevute, e quando, per dirla da un’altra prospettiva, lo si può scomporre in sotto articolazioni indipendenti, le cui connessioni sono prevedibili e lineari.
Si potrebbe quindi descrivere la scuola come un processo di connessioni lineari fra risorse umane , finanziarie e materiali – processi e risultati. Se questo fosse vero, a maggiori risorse finanziarie, a maggiori ore di docenza dovrebbero corrispondere in ogni scuola migliori risultati. Se ciò fosse vero, il sistema della governance sarebbe poco influente, bastando una sequela di procedimenti codificati (processi lineari) che mettano in corretta connessione le risorse erogate per raggiungere i risultati voluti. Ma la realtà non è questa; i sistemi e i problemi che si presentano in natura sono essenzialmente non lineari, ma complessi.
Un approccio globale
Così è anche per la scuola. Come tutti i sistemi complessi, la scuola è costituita da un grande numero di elementi semplici, interconnessi fra loro, in molteplici modi e con dinamiche non lineari; il comportamento dei singoli elementi risulta generalmente ben definito, prevedibile, ma dalla loro interazione può emergere un comportamento globale diverso, difficile da interpretare. Un sistema complesso opera in modo che non si può spiegare come somma delle sue parti, e quindi neanche scomponendo le parti per un’analisi delle varie componenti, ma richiede un approccio sintetico globale. L’esperienza di tutti gli operatori, personale Ata, docenti e di tutti i dirigenti ci dice che la scuola è una somma di variabili fortemente dipendenti ed interconnesse, che interagiscono fra loro, cambiando il peso, l’influenza effettiva dei vari fattori.
La linearità "non vera"
Lo schema lineare sopra ipotizzato risulta quindi assurdo, non aderente alla realtà, quindi non vero. Però la scuola può essere interpretata anche utilizzando i tre passaggi (definizione risorse - strutturazione processi - monitoraggio dei risultati) come spesso viene fatto anche nei processi di autovalutazione. Forse la complessità va quindi assunta come paradigma interpretativo della realtà della scuola, come schema che consente di mettere in connessione gli elementi di analisi nel loro complesso intrecciarsi.
E’ necessario quindi assumere la complessità come chiave interpretativa, cercando al contempo di dare una struttura lineare al pensiero e all’azione; la linearità serve a dare ordine, a cercare nella complessità dei punti chiave da cui partire, senza perdere di vista la rete complessiva di tutti i fattori. Pensare in termini di risorse, processi e risultati è necessario per governare la complessità, per collocare le variabili in uno schema di sviluppo dando ordine, sistematizzando l’esistente e quindi orientando l’azione dell’organizzazione verso quanto è più consono al raggiungimento dei risultati migliori (le tanto citate efficienza ed efficacia).
Un dirigente deve conoscere quanto di complesso si muove nella realtà quotidiana, deve inferire nei legami, nei processi fra gli elementi strutturali complessi, spingendo con le proprie decisioni il tutto ad un ordine lineare che rende il processo governabile e significante. In questo scenario, la gestione organizzativa dell’istituto assume un ruolo evidentemente strategico.
Rivedere il sistema delle deleghe
Da anni le scuole gestiscono incarichi e deleghe funzionali al Pof. Da anni, i dirigenti assegnano compiti ai propri collaboratori, ai fiduciari di sede, condividono con il collegio docenti le deleghe alle funzioni strumentali; il sistema di lavoro con lo staff è consuetudine, buona prassi che le scuole si sono costruite. E’ necessario a questo punto un pit stop di verifica, a partire dal sistema delle deleghe. I processi che il dirigente delega, i processi e le attività che invece mantiene a sé, l’esercizio del potere di direttiva, compresa quella al Dsga per la predisposizione del piano di lavoro degli uffici, sono elementi di analisi importanti, che devono rientrare nel governo lineare della complessità. Quando un dirigente esprime un atto di delega, indica ciò che il "delegato" porrà in essere secondo le direttive ricevute, secondo quindi uno schema lineare. Quando il dirigente consegna la direttiva al Dsga esprime la qualità di servizio richiesta, i procedimenti da curare maggiormente, senza intaccare la gestione del personale che è compito del Dsga stesso, esprimendo quindi nei confronti del Dsga ancora un potere gerarchico.
La tela del ragno
Ma è possibile utilizzare strumenti di governo lineari in un sistema complesso? Non si rischia di utilizzare strumenti incoerenti con la natura stessa dell’organizzazione scuola? Anche dove il dirigente ha un potere sostanzialmente gerarchico e non equiordinato, forse vanno ripensate le modalità di esercizio di tale potere. Nei sistemi complessi, il momento decisionale e il momento dell’azione non possono essere separati in modo netto; la decisione e l’azione devono in qualche modo sovrapporsi, contaminarsi. In questo modo, e solo in questo modo, si contribuisce a creare cultura e comportamenti organizzativi e si prendono decisioni effettivamente efficaci. Una buona decisione è filtrata ex ante dall’esperienza e dall’azione; una buona direttiva lancia linee guida, e offre ampio margine di co-costruzione delle scelte. Le decisioni devono assumere aspetto reticolare, devono partire come una tela di ragno da un focus posto dalla direzione che i fili dell’organizzazione poi vanno svolgendo. In questo modo il dirigente, come il ragno nella tela, garantisce la centralità delle questioni, passa da un filo all’altro, ne prova la tenuta, ne garantisce l’uniformità, mentre i collaboratori e chiunque assuma una responsabilità garantiscono l’efficacia dell’azione, e sono di fatto resi partecipi del governo dell’istituto in una reale visione strategica di governance.
Andando più a fondo e rimanendo in questa logica, anche i focus posti dal dirigente nelle proprie Direttive devono partire dai nodi della rete, per così dire, dai tessitori. La visione di un istituto, la vision che un dirigente può avere deve fare i conti con la realtà degli operatori della scuola, in qualche modo deve partire dalle loro visioni, dagli schemi ed abitudini di lavoro, persino dalle loro strutture cognitive. Come si pensa una scuola costituisce ciò che tale scuola è; una visione estranea, lontana dal contesto, per quanto perfetta non si concretizzerà mai. Il "qui ed ora", il locale sono la sostanza della visione futura.
I compiti del dirigente
Il dirigente ha quindi più compiti complessi: definire un punto di arrivo, avere una visione di miglioramento, conoscere i propri collaboratori, la storia dei singoli e dei gruppi, porre questioni con la pazienza e la sapienza di chi le vedrà parzialmente distruggere, riavvolgere, riconcretizzarsi in forme diverse che comunque incarnino la visione ultima, che rimane stabile. Questo per definire il primo livello di governance, quello che si estrinseca nel rapporto fra il dirigente e i propri collaboratori; poi si tratta di trovare forme di connessione, di coinvolgimento dei docenti e di tutto il personale. Vanno pensati modi nuovi per creare pensiero, per ricollocare il ruolo dei gruppi (commissioni o intero collegio) come comunità professionali che elaborino riflessioni con particolare attenzione alla qualità del processo di insegnamento-apprendimento. In un buon sistema di governance, infatti, ogni nodo o punto della rete deve principalmente ed essenzialmente occuparsi del proprio specifico, che per i docenti è evidentemente il processo di apprendimento ed insegnamento.
Docenti e ata
Gli insegnanti possono e devono riprendersi spazi di condivisione di scelte didattiche, devono condividere materiali, strumenti, pratiche progettuali e devono dedicare molta cura professionale a questo livello. Ciò vale anche per il personale Ata, che l’esperienza insegna essere strategico e centrale nell’immagine che l’organizzazione da di sé, che va coinvolto nelle scelte di fondo, che va ascoltato nell’organizzazione del lavoro e dei servizi, perché le Direttive, del dirigente e le scelte organizzative del Dsga mettano ognuno nella condizione di contribuire al meglio all’efficacia dell’organizzazione. Non è necessario pensare a soluzioni ed azioni complicate; a volte, invece, una volta che il dirigente ha una visione chiara di ciò che è importante, le possibili strade per raggiungere gli obiettivi si trovano anche in soluzioni semplici.
Ad esempio, pensando ai processi decisionali, la rete - in questo caso quella informatica - le tecnologie e le forme di comunicazione multimediale possono diventare strumenti immediati di costruzione di comunità, anche all’interno di un istituto scolastico. Le decisioni, assunte a tal riguardo da commissioni di lavoro, possono avere un feedback immediato se collocate in aree riservate dove i docenti possano scambiarsi commenti ed impressioni; una sorta di Agorà della scuola che crei coesione e consenta alle figure intermedie e al dirigente di avere prospettive di azione da elaborare per prendere decisioni efficaci.
La rete come modello di organizzazione dei processi
La complessità quindi, se è ormai data come scontato riferimento della realtà, ed in particolare dell’organizzazione di comunità, deve essere assunta come ipotesi di organizzazione dei processi, non solo dei sistemi di delega. Non può ridursi alla stesura di un buon organigramma, di un funzionigramma da esporre sul sito, se poi il processo di costruzione del sapere organizzativo, delle decisioni rimane lineare. Strutture lineari in sistemi complessi sono alla lunga inefficaci, e portano malessere organizzativo; nuove forme di elaborazione dei processi sono possibili, e saranno finalmente la carta vincente della maturità dell’autonomia delle scuole al di là delle restrizioni che le norme in questi anni hanno posto all’esercizio di tale autonomia.
Laura Ferretti, dirigente scolastico liceo artistico Manzù, Bergamo
Imerio Chiappa, dirigente scolastico Istituto Tecnico Quarenghi, Bergamo