Il 14 gennaio a Bruxelles, presso il centro di ricerca Bruegel, è stato presentato il Rapporto McKinsey Education to Employment: Getting Europe’s Youth into Work (dall’istruzione all’occupazione: l’ingresso nel lavoro dei giovani europei), condotto su otto Paesi UE, Germania, Svezia, Gran Bretagna, Francia, Spagna, Portogallo, Italia, Grecia, che insieme rappresentano quasi il 75% della disoccupazione giovanile rilevata nei 28 Stati dell’Unione.
Le notizie, soprattutto per l’Italia, sono sconcertanti anche se per molti aspetti tristemente note. La prima notizia è questa: «La disoccupazione giovanile in Italia è raddoppiata dal 2007, toccando il 40% nel 2013» (41,6% a novembre 2013, secondo Eurostat). La seconda notizia ci dice che: «questa cifra è solo parzialmente dovuta alla crisi economica: i problemi si agitano molto più nel profondo… Il 47% degli imprenditori italiani riferisce che le loro aziende non trovano lavoratori con competenze adeguate, e questa è la percentuale più alta fra tutti gli otto Paesi esaminati». La situazione peraltro è stata evidenziata tante volte dai rapporti Excelsior-Unioncamere. Il Rapporto continua: “In Italia, Grecia, Portogallo e Regno Unito un numero crescente di studenti sceglie corsi di studio collegati all’industria manifatturiera, nonostante il brusco calo di posti di lavoro in questo settore. Non è positivo vedere che tanti giovani scommettono sul proprio futuro contando su industrie in decadenza… Mondo dell’istruzione e imprese comunicano poco e male”. Contestualmente soltanto il 26% degli studenti italiani di scuola secondaria di 2° grado afferma di ricevere sufficienti informazioni sugli indirizzi di studio postsecondari e solo il 19% sulle opportunità di occupazione collegate agli indirizzi di studio. I riflessi sul sistema educativo italiano sono l’orientamento e la scelta per gli indirizzi tecnico professionali.