Visto quanto trapela sui testi dei provvedimenti, non si capisce dove stia la riforma. Manca una visione d'insieme, un vero progetto di innovazione; siamo in presenza di una serie di "titoli" più o meno suggestivi, suscettibili di qualche impatto comunicativo ma tutti da verificare nella loro effettiva incidenza rispetto alle ambizioni di rinnovare il servizio pubblico rendendolo più produttivo.
Molte delle novità annunciate in realtà non sono tali, mentre non si affrontano nodi veri: dov'è il contrasto alla corruzione? Ancora una volta si cambiano le norme e si aggiungono controlli, ma si lasciano intatte le 35.000 stazioni appaltanti che in questi anni hanno fatto crescere a dismisura la spesa, talvolta dando spazio al malaffare. Dove sono la semplificazione dei livelli amministrativi e la diminuzione degli enti? Anche su questo, nessun intervento, se non del tutto marginale.
Quanto al ricambio generazionale, grande enfasi nel titolo ma scarsissima sostanza. I dati della Ragioneria dello Stato danno in uscita un milione di dipendenti pubblici nei prossimi 10 anni, e 230.000 solo nei prossimi quattro. Il decreto annuncia 15.000 nuovi ingressi: vuol forse dire che si punta a un taglio, questo sì epocale, dei posti di lavoro nella pubblica amministrazione? Pensare che sarebbe bastato il taglio progressivo delle consulenze e degli uffici dirigenziali per inserire a costo zero centomila giovani competenti, motivati, risorse preziose per l'indispensabile rinnovamento dei profili professionali e quindi dei servizi. E invece avremo addirittura un bel po' di dirigenti in più, con l'ingresso di quote dal privato, un 30% per di più scelto dalla politica.
L'idea che la vera innovazione si faccia attraverso la competenza, l'impegno, la passione delle persone che danno volto e vita alla pubblica amministrazione in tutti i settori lavorativi che la compongono non sembra proprio presente nelle misure del governo. Eppure coinvolgere i lavoratori, motivarli rispetto agli obiettivi di cambiamento è la chiave di successo per ogni processo riformatore, ed è questa la ragione e il senso di un confronto con le loro rappresentanze sindacali; altro che freno e conservazione, quando si è trattato di tagliare poltrone nelle province, di cambiare la rete dei servizi sul territorio e di riscrivere le funzioni degli enti locali il sindacato è stato il primo a fare proposte e a spingere per chiudere l'accordo.
Il confronto sindacale, nella gestione di percorsi di innovazione, non è una perdita di tempo, ma un fattore che aiuta a governarne più efficacemente la complessità. La storia delle relazioni sindacali offre molti esempi, e in essa il ruolo della CISL dimostra che anche dalla partecipazione e dalla contrattazione è passata la modernizzazione del paese.
Firenze, 14 giugno 2014
Francesco Scrima, coordinatore Cisl Lavoro Pubblico