Lunedì, 8 Marzo, 2021 - 10:00
Shakespeare insegna e il copione è quasi perfetto anche se la trama è molto complicata e piena di colpi di scena: l’Amministrazione scolastica è amleticamente oscillante tra una decisione e l’altra, e infine, vista la difficoltà ad assumere una posizione, rinuncia persino a scegliere, rischiando di scaricare sui dirigenti scolastici un’ennesima responsabilità.
È in sostanza quanto si è dovuto registrare in questi ultimi giorni, ancora una testimonianza della difficoltà e dell’incertezza nella quale versa l’Amministrazione, che tentenna e poi opta per far decidere ai dirigenti scolastici, insieme agli organi collegiali, chi ha diritto a frequentare la scuola. In particolare, la questione è se in caso di sospensione di attività didattica in presenza siano da ammettere i figli di sanitari alla frequenza a scuola oppure no … questo è il dilemma.
Il primo atto prende avvio dall’USR Lombardia, con una faq nella quale si legge che la nota del Ministero dell’Istruzione n. 1990/2020 è applicabile anche al contesto delle attuali ordinanze regionali in tema di sospensione dell’attività didattica. Più precisamente si fa riferimento alla particolare attenzione che le scuole devono porre alle richieste di frequenza in presenza dei figli del personale sanitario impegnato nel contenimento della pandemia e dei figli del personale impegnato nei servizi pubblici essenziali.
Fa eco una nota del Ministero dell’Istruzione, la n. 343 del 4 marzo 2021, in cui si richiamano le disposizioni del Piano scuola 2020/2021, approvato con DM 39/2020. Si omette però di ricordare che non è mai stato emanato l’atto dispositivo con il quale avrebbe dovuto essere regolata la frequenza di figli di personale sanitario o di altre categorie di lavoro le cui prestazioni siano ritenute indispensabili per la garanzia dei bisogni essenziali della popolazione.
Comunque, il Ministero cita i contenuti della faq, attribuendo rilievo nazionale ad una chiarificazione dell’USR Lombardia che a sua volta emana la nota 4454/2021. Dunque, apparentemente il dilemma è positivamente risolto, la decisione è presa, i figli di sanitari e lavoratori essenziali possono frequentare in presenza, nonostante il DPCM non richiami tale fattispecie ma faccia riferimento solo ad alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali e alle circostanze nelle quali sia necessario l’uso di laboratori.
Gli effetti sono dirompenti: un’esplosione di richieste di frequenza in presenza, accompagnate da moduli di autocertificazione messi a punto da solerti associazioni, impegnate anche nel recupero di codici Ateco per la definizione dei lavori essenziali. Tutti vogliono frequentare in presenza, anche se Dpcm e Ordinanze limitano la platea degli aventi diritto ad alcune specifiche categorie, senza contemplare i figli di coloro che nel frattempo, con un inglesismo ad effetto, si definiscono key workers.
Come nei migliori drammi, ancora una volta la scuola è sola e naviga in acque incerte e vi è una kafkiana metamorfosi del dubbio, sospeso ora tra esigenze di contenimento del contagio imposte dal Dpcm e dalle ordinanze regionali e richieste di frequenza tanto numerose da rendere vane le misure delle ordinanze stesse.
Ed ecco prospettarsi la terza via, questa volta sotto forma di un’ulteriore nota dell’USR Lombardia che, in un gioco degli specchi tra livello regionale e nazionale, richiama la nota del Ministero dell’Istruzione, riconosce la necessità di un chiarimento da parte degli organi competenti per definire univocamente il personale impegnato nei servizi pubblici essenziali, titolare del diritto alla frequenza in presenza per i propri figli e, nelle more, rimanda alle scuole ogni decisione, seppure sulla base di alcune “indicazioni criteriologiche” che richiamano il primario obbligo di rispetto delle misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza. Nella saga interviene anche la Regione Piemonte, che con una nota stabilisce che i dirigenti scolastici debbano valutare le richieste dei genitori. Insomma, una conclusione per nulla originale, anzi molto scontata e già vista: le scuole rimangono con il cerino in mano e in epilogo, come d’uso, al personale scolastico vanno tanti ringraziamenti.
La CISL Scuola ha immediatamente giudicato davvero grave che i diritti/doveri dei cittadini fossero destinati ad essere profondamente difformi persino sul territorio regionale e che i dirigenti scolastici fossero chiamati a rispondere di decisioni di tale rilevanza, certamente fuori della competenza loro e degli organi collegiali. Come ha dichiarato la nostra segretaria generale, Maddalena Gissi, “non sono ammissibili improvvisazioni e fai da te, le situazioni vanno governate” a beneficio dell’effettività sia dei diritti che della difesa della salute, in un bilanciamento che non può che essere una responsabilità politica e non certo attribuibile alle singole istituzioni scolastiche.
La nostra organizzazione ha immediatamente chiesto al Ministero di intervenire per armonizzare i comportamenti su tutto il territorio nazionale in caso di sospensione dell’attività didattica dovuta alla pandemia. A livello regionale sono state inviate richieste di chiarimenti e di correzioni di rotta. Così sia la Regione Piemonte che la Regione Emilia-Romagna hanno raccolto le segnalazioni delle Organizzazioni sindacali e degli istituti scolastici e sollecitato formalmente il Governo e il Ministero dell’Istruzione a chiarire i riferimenti normativi a fondamento di deroghe rispetto alle misure di contenimento stabilite dal Dpcm ed inoltre ad indicare quali fossero eventualmente le categorie di lavoratori interessati. Analoga richiesta di chiarimento è stata inviata dalla Regione Lombardia al Ministro Speranza.
Nel pomeriggio di ieri, infine, il Ministero dell’istruzione ha diramato una nota (prot. 10005 del 7/3/2021) a firma del Capo di Gabinetto, in cui, sebbene in modo decisamente asciutto, si chiarisce che sono ammesse in presenza solo le categorie citate dal DPCM laddove stabilisce puntualmente le deroghe alla sospensione delle attività in presenza, ricordando inoltre che le ordinanze regionali hanno il potere di disporre limiti più restrittivi e non di ampliare l’attività in presenza a categorie non previste nel DPCM.
Così il finale della saga dei Key workers sembra essere riscritto, ma rimane una grande amarezza per la sensazione di abbandono e di sostanziale scaricabarile sulle scuole e sui dirigenti scolastici sempre costretti a orientarsi e a prendere decisioni nel contesto incerto e confuso del "così è se vi pare".