La continuità negata sui posti di sostegno è un problema reale, ma attenti a non sbagliare clamorosamente bersaglio se si fa della mobilità la causa di un problema che ha tutt’altra origine. Se è difficile, quasi impossibile, garantire la continuità sui posti di sostegno lo si deve anzitutto all’enorme squilibrio tra organico di diritto (quello su cui si possono costituire cattedre stabili) e quello effettivamente necessario a soddisfare il fabbisogno: i posti che possono essere coperti con personale di ruolo sono infatti poco più della metà di quelli attivati ogni anno, non riconoscere che quel fabbisogno rappresenta un dato strutturale è negare la realtà. Ma anche i posti in organico di diritto rimangono in gran parte affidati a supplenze, perché non ci sono abbastanza docenti specializzati per coprirli. Basti pensare che ne restano al momento vacanti 30.736, che solo in minima parte si riuscirà a coprire con assunzioni in ruolo. Anche in questo caso, con paradossi che abbiamo denunciato più volte, guardando il numero dei posti disponibili per l’accesso ai percorsi di specializzazione gestiti dalle Università, clamorosamente bassi proprio nelle aree territoriali in cui ne servirebbero molti ma molti di più.
I dati della mobilità di quest’anno, se correttamente riportati, dimostrano in realtà l’esatto contrario di ciò che a prima vista si lascia intendere: il numero di trasferimenti su sostegno riportato in questi giorni su “La Repubblica”, infatti, in realtà comprende circa 11.000 movimenti che non sono effettivamente tali, in quanto corrispondono ai docenti assunti dalle GPS di I fascia, la cui conferma in ruolo avverrà dal prossimo 1° settembre e che saranno confermati, se definitivamente assunti, proprio sul posto in cui stanno lavorando quest’anno. La mobilità dunque non ha ostacolato la continuità, al contrario l’ha favorita. Così come l’ha favorita una norma fortemente voluta dai sindacati, grazie alla quale attingendo dalle graduatorie di I fascia abbiamo risposto in modo positivo non solo alle attese dei lavoratori, ma anche alle esigenze di stabilità del sistema. La dimostrazione che il confronto e il negoziato producono risultati migliori di quanto non avvenga quando a prevalere sono le norme “bandiera” e le decisioni unilaterali di una politica autoreferenziale. Ivana Barbacci, segretaria generale CISL Scuola